Il dilemma del prigioniero in psicologia? In questo articolo approfondiamo questo tema.
Il dilemma del prigioniero è un gioco ad informazione completa proposto negli anni cinquanta del XX secolo da Albert Tucker come problema di teoria dei giochi. Oltre ad essere stato approfonditamente studiato in questo contesto, il “dilemma” è anche piuttosto noto al pubblico non tecnico come esempio di paradosso. Anche John Von Neumann, creatore della teoria dei giochi, si interessò a questo dilemma, presentatogli dai due ideatori mentre lavorava al RAND nel 1948.
La situazione, nota anche in ambito sperimentale, del “dilemma del prigioniero” ci consente di aprire
ulteriori scenari collegati al tema della responsabilità (intesa come risposta degli effetti delle azioni
individuali e collettive): nella versione classica, la simulazione prevede che due “prigionieri” vengano
accusati di un delitto e rinchiusi in due celle di un carcere immaginario.
Viene esclusa qualunque possibilità di contatto fra di loro e un giudice ha la certezza che uno dei due sia l’autore del reato: egli dunque propone loro una soluzione per indurli alla confessione: l’indiziato che accuserà l’altro come autore materiale del delitto verrà scarcerato e l’altro prenderà una pesante condanna (30 anni); se nessuno dei due confessa, né accusa, entrambi verranno scarcerati dopo qualche anno (supponiamo 2); con un’accusa reciproca entrambi gli attori andrebbero incontro a una condanna di 15 anni.
Il cuore del dilemma sta nel fatto che ciascun prigioniero non sa cosa farà l’altro: per questa ragione, pur essendo conveniente che entrambi tacciano (in breve tempo verrebbero liberati entrambi), si espone al rischio di essere accusato e prendere il massimo della pena. In altri termini, ogni prigioniero si trova a scegliere – praticamente al buio – fra un’azione “cooperativa” (tacere) e una “ostile” (denunciare l’altro).
Questo insieme di indagini, che non è privo di importanti conseguenze per la comprensione delle società umane, ha modificato la tematica tradizionale dell’etica. Il contributo del dilemma del prigioniero in psicologia consiste non soltanto nel fatto che essa sottrae il problema etico, o del «dover essere», a un terreno puramente speculativo, o puramente meta-fisico, per inserirlo invece – pur senza dissolverlo – in un contesto di indagine scientifica; ma consiste anche nel fatto che distingue molto nettamente l’indagine (descrittiva) di «come stanno le cose» dall’indagine (normativa) di «come vorremmo che fossero».